When a Parent is Born

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When a Parent is Born
When a Parent is Born
EP41: Quando il volume si alza, la connessione si abbassa.

EP41: Quando il volume si alza, la connessione si abbassa.

Il tuo tono diventa la loro voce interiore.

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Giulia Galli
Jun 25, 2025
∙ Paid

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When a Parent is Born
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EP41: Quando il volume si alza, la connessione si abbassa.
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È estate a Londra, e le strade sono piene di vita. I parchi sono affollati, il sole si attarda un po’ di più, e nel nostro piccolo giardino cerco angoli d’ombra per scrivere, leggere o semplicemente godermi il sole.

Ma ultimamente, c’è qualcos’altro nell’aria: le urla.

Attraversano le recinzioni, arrivano dalle finestre aperte, rimbalzano nei cortili tra le case. Non si tratta di un richiamo occasionale, ma di qualcosa di più ripetuto, più teso, più stanco. Urla tra fratelli. Urla di adolescenti che rispondono male. E, spesso, urla di genitori—verso i loro bambini piccoli, i figli in età scolare, perfino neonati.

Una voce in particolare mi ha colpita: una madre che urla ogni volta che il suo bimbo di un anno fa cadere qualcosa o si comporta in modo “sbagliato” secondo lei. La sua voce taglia l’aria, dura, piena di giudizio. Ogni giocattolo caduto, ogni cucchiaio rovesciato, ogni gesto goffo viene accolto da un tono carico di rabbia.

Ha solo un anno. Uno.

Eppure, in questo momento della sua vita, lui non sta solo imparando come si muove una mano o come cade un oggetto. Sta imparando cosa significa sbagliare. Sta imparando cosa succede quando mamma si arrabbia. Sta imparando che essere piccolo, in un mondo di voci grandi, può far male.

Ora, siamo onesti: a tutti è capitato di alzare la voce. Non è una questione di “bravi” o “cattivi” genitori. Le urla succedono. A volte siamo sopraffatti, stanchi, soli. A volte siamo cresciuti proprio così: con urla che sembravano parte normale della vita quotidiana.

Ma c’è una verità difficile da ignorare: urlare non insegna. Spaventa.
Allontana. Non aiuta a capire, ma a obbedire per paura.

Sì, può fermare un comportamento nell’immediato. Ma a quale prezzo?

Perdiamo connessione. Seminiamo vergogna. E ci allontaniamo proprio da chi più ha bisogno della nostra guida.

Il cervello di un bambino impara soprattutto attraverso l’esperienza, non solo con le parole. Nei primi anni di vita, il mondo viene percepito più con il corpo che con la logica. Ciò che sentono è meno importante di come si sentono.

Così, se urliamo per un bicchiere d’acqua rovesciato, non imparano a tenerlo meglio, imparano che hanno “sbagliato” ad averci provato. Se sgridiamo un bambino perché ha toccato qualcosa di fragile, non impara la cautela, impara che la curiosità è pericolosa. Se alziamo la voce quando sono frustrati, non imparano a gestire le emozioni, imparano che le emozioni sono un problema.

Il messaggio che arriva non è quello che diciamo, ma quello che il tono comunica.

E se quel tono è carico di rabbia, quel messaggio si incide. Non come lezione su bicchieri o regole, ma come giudizio su di sé.

Questo è il vero rischio delle urla ripetute: trasformano un comportamento in un’etichetta.

“Ho fatto cadere qualcosa” diventa “Sono goffo.”
“Ero curioso” diventa

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